Casa museo De Chirico: la metafisica della tranquillità
Di fronte a un’opera d’arte si ha sempre il dubbio che sia o la manifestazione più profonda e sincera dell’artista o una finzione, una maschera dietro cui cela il suo mondo, un meccanismo che offusca invece di metterne a fuoco la personalità.
Questione spinosa da risolvere, tanto che a volte sono alcuni elementi esterni a rivelarci i piccoli grandi segreti degli artisti, segnali passati sotto traccia – lettere e oggetti rinvenuti per caso, sbandate per uomini o partiti politici, tradimenti fatti e subiti, preferenze sessuali, interviste rilasciate in momenti di totale disarmo, foto inedite.
Altre volte possono essere le abitazioni in cui hanno vissuto ad alzare il velo sulla loro esistenza e sulla loro arte, a rivelarci qualcosa di più intimo e laterale.
Il tema della relazione tra vita e arte ci porterebbe troppo lontano, quindi, per adesso, accontentiamoci di visitare la casa di Giorgio De Chirico, in Piazza di Spagna a Roma, dove ha vissuto con la moglie dal 1948 al 1978, anno della morte. Vediamo se questa abitazione, che dal 1998 è diventata una casa-museo e che si può scoprire seguendo una visita guidata, ci può aiutare a capire come viveva il maestro italiano e magari aggiungere altri tasselli all’immagine che ci eravamo fatti di lui e della sua opera.
De Chirico approdò a questa abitazione dopo numerosi traslochi. Il primo, probabilmente il più importante, dovuto alla morte del padre, fu quello che dalla Grecia, luogo della sua nascita e formazione, lo portò prima in Italia, poi in Germania. Qui, artista in erba, rimase molto colpito dalla pittura tardoromantica tedesca di cui apprezzò la rielaborazione del mondo classico in un contesto altamente scenografico.
Tornato in Italia, a Firenze, fu quella che lui definì “la malinconia delle belle giornate d’autunno, di pomeriggio, nelle città italiane” a ispirargli il primo quadro metafisico: L’enigma di un pomeriggio d’autunno, suscitato da una visione che ebbe in piazza Santa Croce e dall’affresco di Giotto della cappella Bardi nella Basilica che domina la medesima piazza.
Di lì in poi nel suo percorso artistico si andò delineando quella che è stata definita pittura metafisica. Di cosa si tratta? Le tele di De Chirico si riempiono di rovine classiche che diventano simulacri slegati dal contesto in cui erano state concepite. I pochi elementi dipinti fluttuano in una dimensione senza tempo. I resti del passato si ricompongono nella visione del pittore prima e in chi osserva poi. Lo spazio diventa un palcoscenico: una superficie che vive nell’attesa dell’apparizione di uomini o cose. Assi di legno e quinte architettoniche incorniciano e sottolineano assemblaggi di oggetti presi dal quotidiano in una inconsueta combinazione di prospettive. Le piazze o gli impiantiti dove, ad esempio, sostano le Muse o i manichini, sovvertono la logica ordinaria, capovolgendo e intersecando in modo anomalo gli assi spazio-temporali che ordinano il mondo. Il risultato finale è una ricomposizione della realtà che si fa nuova e insondabile.
Questo originale approccio pittorico spinse De Chirico agli onori delle cronache artistiche. La crescente popolarità lo portò a vivere a lungo all’estero, Parigi, New York, finché nel 1947 decise di fermarsi a Roma e di trasferire lo studio in Piazza di Spagna. Abbattendo delle pareti e unendo un altro appartamento fu ricavata anche la casa in cui abitò con la moglie per trent’anni.
Visitarla oggi significa in primo luogo immergersi nell’habitat creativo di De Chirico e accorgersi di come il suo lavoro nascesse da brevi illuminazioni e da un lungo processo artigianale, di lenta elaborazione. Gli oggetti dell’attività, disposti come se l’artista fosse uscito un secondo a bere un espresso al vicino Caffè Greco, la giacca da pittore ancora appoggiata in un angolo, di solito indossata sopra completi eleganti, i pennelli impregnati di colore, le tavolozze sul tavolo e poi il lucernario da cui poteva scrutare il cielo di Roma. Da lì poteva indagare i mutevoli cieli della capitale, catturare le sfumature di luce, protagonista in molte sue tele, una luminosità mediterranea, fulgida, per certi aspetti reale, per altri rielaborata con un processo intellettuale. De Chirico avvertiva e riconosceva come sotto quella luce si fossero sprigionate potenti forze creative che dal passato erano arrivate fino a lui, forze che cercava di rimettere in circolo nel gesto incessante della pittura.
Sorprendente è la parte dedicata alla casa vera e propria. Gli ambienti hanno un forte sapore borghese, in stile anni ’50, con tende elaborate, morbidi divanetti tutti curve, lampadari in vetro di Murano, tavolini con appogiate statue d’argento, candelabri e lampade da lettura. La quotidianità che si squaderna davanti agli occhi, uno spaccato che ci fa quasi immaginare di poter aprire una porta e scorgere De Chirico mentre si fa la barba o legge il giornale in poltrona. Sì, è vero, le pareti ci dicono che è casa sua poiché vi sono appese molte sue tele, ma a parte questo dettaglio, potrebbe essere la casa di un medico o di un professore, non di uno degli artisti più celebri del Novecento. Del resto c’è una sua celebre frase che rinforza l’immagine quieta e quotidiana del suo vivere: “Dicono che Roma sia il centro del mondo e che piazza di Spagna sia il centro di Roma, io e mia moglie, quindi si abiterebbe nel centro del centro del mondo, quello che sarebbe il colmo in fatto di centrabilità ed il colmo in fatto di antieccentricità.”
C’è un’altra citazione che potrebbe svelarci con più chiarezza qualcosa sulla sua poetica e che la visita alla sua dimora sembra già suggerire: “Nella parola metafisica non vedo nulla di tenebroso: è la tranquillità stessa e la bellezza priva di senso della materia che mi sembra metafisica, e tanto più metafisici sono gli oggetti, che per il nitore delle tinte e l’esattezza delle proporzioni si trovano agli antipodi d’ogni confusione, d’ogni nebulosità”.
La casa-museo di De Chirico merita di essere vista perché ci racconta in presa diretta un artista fondamentale, singolare, lontano dalle eccessive battaglie avanguardistiche, ma anche perché, di riflesso, racconta qualcosa a noi e di noi, ci dice che basta osservare qualche stanza, una casa, che sia di un artista o meno, per accorgersi che non sono altro che evasioni archittettoniche, spazi dentro i quali cerchiamo di proteggerci dal flusso del tempo. Come l’arte, del resto.
Casa-museo Giorgio De Chirico
Tel. + 39 066796546
Fondazione De Chirico
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