Elliott Erwitt e la fotografia: aspettare che le cose accadano
La parola d’ordine del fotografo Elliott Erwitt è “lievità”. Non “leggerezza”, che indicherebbe uno sguardo disattento e superficiale, ma “lievità”, che rimanda a un tocco delicato, non invadente. Un lavoro molto accurato, che si pratica a levare: via la ricercatezza concettuale, via le proclamazioni di senso. Le cose sono se stesse, e non è mai stato così seducente ritrovarsi a guardarle.
Tra i soggetti preferiti di Erwitt, forse proprio per questo, ci sono i cani. Se gli si chiede perché, risponde che a loro non dispiace, “e poi non chiedono la ristampa delle fotografie”.
I cani, oltre a essere protagonisti, dettano l’altezza dello sguardo della macchina fotografica: se si tratta di chihuahua, non si vedono del padrone altro che i piedi. Per i cani che saltano, la macchina si alza un po’ più in alto, ma ancora esclude il volto dell’accompagnatore.
A volte Erwitt ha aiutato il caso: “Per far saltare il cane mi sono messo ad abbaiare!”, altre volte l’unica soluzione è stata quella di armarsi di pazienza: “questo è fotografare: aspettare che le cose accadano”.
A questa filosofia dobbiamo alcuni degli scatti più incredibili, come la fotografia che ritrae un gabbiano appollaiato su un lampione, intento a guardare un aereo di passaggio.
Anche tra le fotografie scattate nei musei – raccolte nel volume Museum Watching – ci sono foto in apparenza casuali e, in realtà, ottenute dopo lunghe e pazienti attese. È il caso, ad esempio, della foto scattata al Prado, in cui un fitto manipolo di uomini è intento a contemplare la Maya Desnuda, mentre l’unica donna in sala osserva, solitaria, la Maya Vestida. “Per ottenere quella precisa situazione ho dovuto aspettare tutto il giorno!” racconta Erwitt.
I musei sono una grande fonte d’ispirazione per il fotografo, che racconta di trarre un grande piacere dall’osservare le persone che, a loro volta, sono intente a guardare le opere d’arte.
Dopo i musei, tra i luoghi più fotografati da Erwitt ci sono le stanze d’albergo. Per un periodo, infatti, ha deciso di immortalare ognuna delle camere in cui ha dormito, in modo da ottenere una sorta di diario di viaggio.
Come sempre, non si tratta di foto concettuali, scattate col presupposto di raccontare qualcosa o produrre senso: “Prima si scatta d’istinto, poi si elabora il giudizio”.
Nemmeno la foto scattata all’ingresso di Auschwitz, dunque, nell’ottica di Erwitt è investita di un particolare messaggio: “È solo il ricordo storico di un luogo infame. Vanno fatti vedere sia i luoghi dove sono successe cose tremende, sia quelli che hanno ospitato cose belle”.
Tra i luoghi delle cose belle, di sicuro rientra il set de Gli spostati, film di John Huston, sul quale Erwitt ha ritratto il cast del film al completo, in una foto memorabile. “Per molti di loro quello è stato l’ultimo film” nota il fotografo, sottolineando l’eccezionalità di quell’occasione. A Erwitt, tra l’altro, dobbiamo alcuni dei ritratti più naturali e intimi di Marilyn Monroe, come quello in cui legge, lo sguardo volto a un pensiero fugace, la mano che sorregge il volto.
Un’altra foto epocale, pur per motivi decisamente diversi, è quella che ritrae Nixon nell’atto di puntare il dito su Khrushchev. Nixon strumentalizzò la foto usandola per la propria propaganda.
Un altro dei soggetti ricorrenti nell’opera di Erwitt sono i bambini: “Sono sempre emozionanti”, spiega.
Due scatti in particolare incarnano al meglio questa sua osservazione: il primo ritrae un bambino che si punta una pistola alla tempia, con un ampio sorriso a illuminargli il viso. Questa foto è una delle più care ad Erwitt, siccome si può interpretare in molti modi: è una foto divertente, è tragica, è folle? Sta allo spettatore decidere.
L’altra fotografia ha per protagonisti dei bambini veneziani poveri, nel dopoguerra. La foto rappresenta alla perfezione lo stato d’animo di quel periodo. Erwitt racconta di essere stato molto ispirato dai film del neorealismo italiano, e di trovare il dopoguerra un periodo interessante da ritrarre, perché molto denso dal punto di vista emotivo.
Se si chiede ad Elliott Erwitt qual è il segreto per ottenere fotografie buone come queste, lui dice che l’unica cosa da fare è fotografare. Fotografare senza mai stancarsi, fino al raggiungimento della perfezione. Bisogna avere pazienza, determinazione, e coltivare il proprio spirito d’osservazione.
Tutte qualità di cui lui, senz’altro, è dotato in abbondanza.
Fino al primo settembre 2013, una selezione delle fotografie di Elliott Erwitt è in esposizione a Torino, a Palazzo Madama.
Orari
Da martedì a sabato dalle 10 alle 18, ultimo ingresso alle 17.
Domenica dalle 10 alle 19, ultimo ingresso alle 19.
Chiuso il lunedì.
Biglietti:
8 € intero, 5 € ridotto, audioguida inclusa
L’immagine di copertina è usata per mero scopo documentativo.
di Margherita Restelli