Natura morta in pittura: dall’Ottocento a oggi a cavallo di una rivoluzione
Un pezzo di pane, un fiore e un frutto maturo, una bottiglia impolverata o una forchetta messa storta su un tavolo in marmo: oggetti semplici, frammenti di vita quotidiana. Cose che sembrano animate, tanto da rendere il termine “natura morta” un paradosso.
L’uomo, il suo rapporto con le cose e come l’arte ha modificato il modo di guardarle: una storia interessante. Soprattutto capire come dall’Ottocento in poi la natura morta abbia preso strade inattese e feconde.
Il tema è ancora attuale perché le nature morte trattano di oggetti che, pur modificandosi, non sono cambiati troppo nella vita delle persone. Oggi noi usiamo i bicchieri come li usano i personaggi nei quadri di Chardin. Tuttavia la natura morta è stato sempre un tema sottovalutato e i pittori di genere sempre considerati minori.
Gli oggetti nei quadri ci sono sempre stati. Non c’è dipinto, paesaggio, ritratto o rappresentazione storica, che non contenga la descrizione di un dettaglio, ciononostante sono stati per molto tempo elementi di contorno, marginali.
A cambiare l’approccio arriva, nel 1543, Copernico che sconvolge il mondo deponendo l’uomo e la sua visione geocentrica della realtà. L’universo si fa all’improvviso enorme. Gli effetti di questa scoperta arrivano fino alle tele dei pittori, finalmente autorizzati ad allargare l’ampiezza dell’inquadratura a tutto ciò che sta loro intorno.
Nel Cinquecento Raffaello e Tiziano mostrano i primi sintomi di tale spostamento, ma sono i capolavori di Caravaggio e dei naturalisti del Seicento a offrire le più belle descrizioni di tutto ciò che accompagna il vivere quotidiano.
Fra i temi principali della natura morta c’è quello della vanitas, che segnala la caducità del mondo e della vita attraverso la presenza di teschi, di un fiore appassito, di un frutto marcio. La conchiglia invece è simbolo della sessualità femminile, mentre il vetro rappresenta la fragilità della vita.
L’arrivo della modernità vede dunque l’ascesa della natura morta dall’ultimo gradino della gerarchia accademica. Il genere, proprio per il fatto di mostrare oggetti inanimati, è poco considerato dalla critica ufficiale, mentre diventa una specie di bandiera per i realisti di fine Ottocento, convinti che sarebbe venuto il giorno in cui una carota avrebbe significato una rivoluzione.
Tra i primi a capirlo ci fu Edouard Manet. Con lui parte il moderno da cui scaturiscono tutti gli ismi del XX secolo, Impressionismo, Cubismo, Futurismo. Del resto la natura morta si presta benissimo al tema della rivoluzione del vedere. Chi per primo ne coglie gli aspetti avanguardistici è Cezanne, che già nelle prime esercitazioni sul genere propone interessanti modifiche iniziando a interpretare le nature morte con uno stile grezzo dalle larghe pennellate e dando agli oggetti una visione rigorosa, che li scompone e ne fa solidi geometrici.
Il Cubismo, influenzato da Cezanne, sceglie la rappresentazione degli oggetti come luogo ideale per le proprie sperimentazioni pittoriche. Il genere si presta infatti alle indagini su spazi e volumi perché, come sostiene Braque, la natura morta offre uno “spazio tattile”, una realtà che può essere manipolata. Pochi sono gli elementi che compongono le nature morte cubiste: pipe, bottiglie, fogli di musica o di giornali e strumenti musicali, oggetti scelti anche per la loro valenza metaforica che rimanda alla vita da bohème degli artisti stessi.
Un altro tipo di scomposizione dell’immagine è quella praticata dal Futurismo, la grande alternativa dell’arte italiana al cubismo. Qui la disgregazione della realtà è resa nella sua componente dinamica e non in quella statica tipica del cubismo.
Completa il quadro complesso delle vicende artistiche del secondo dopoguerra la convivenza di correnti figurative e non figurative, le prime rappresentate, tra gli altri, da Giorgio Morandi, che sceglie di muoversi su un terreno al confine tra rappresentazione di oggetti reali e istanze simboliche. Morandi dice “Io sono un pittore non delle cose, perché le cose sono quasi niente, io sono un pittore astratto”. Morandi agisce per far diminuire la realtà, infatti nelle sue opere la realtà è mangiata dal vuoto, le cose sulla tela spariscono e sembra rimanere quasi solo la pittura.
A partire dagli anni ‘50 del Novecento nascono le contaminazioni, le integrazioni. Le iconografie, di solito separate, per esempio il nudo e la natura morta, si uniscono. Andy Warhol, negli anni del boom economico, prende ispirazione dallo sterminato inventario di immagini dei mass media, trasformando gli stilemi con cui l’artista si è sempre rivolto alla rappresentazione dell’oggetto.
Pop Art, Azionismo e Arte Povera ridefiniscono le possibilità della natura morta, filtrando i riferimenti al passato attraverso una sperimentazione tecnica spesso estrema e testimoniando inequivocabilmente che la natura morta, nell’arte moderna e contemporanea, pur avendo subito una metamorfosi, è tutt’altro che scomparsa.