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Posted on Mag 16, 2013 in Capolavori | 1 comment

Castello del Buonconsiglio: il ciclo dei Mesi di Torre Aquila

Castello del Buonconsiglio: il ciclo dei Mesi di Torre Aquila

Il castello del Buonconsiglio di Trento si rivela come un edificio di grande fascino e richiamo, addossato com’è alle duecentesche mura cittadine. Il complesso fu la residenza dei principi vescovi di Trento per quasi sei secoli. In una torre, denominata Aquila, è conservato uno tra i più rilevanti affreschi del gotico-internazionale d’Europa: il Ciclo dei Mesi.

Già l’approdo al torrione, uno stretto passaggio vagamente fiabesco, sembra voler separare il visitatore dal resto dell’edificio e del mondo per prepararlo a uno spazio evocativo di un tempo lontano, dove vengono narrate vicende della vita di corte e rurale a cavallo tra il XIV e il XV secolo.

A volere l’opera fu il principe-vescovo Giorgio di Lichtenstein che, affidandolo a un artista identificato con sempre maggiore certezza nel Maestro Venceslao, di origine boema, dimostrò di essere un colto umanista e un raffinato conoscitore di quello che era il mondo cortese agli inizi del Quattrocento.

Giorgio era discendente di una ricchissima famiglia con possedimenti in Austria e Moravia. Arrivò sullo scranno episcopale nel 1391 e con sé portò arredi, suppellettili, libri miniati, arazzi che mostravano la conoscenza dei gusti più raffinati circolanti all’epoca in fatto di arte, biblioteche, collezionismo.

Nel medioevo si sviluppò la tradizione di legare il ciclo del lavoro dell’uomo a quello delle stagioni e dei pianeti. Alcuni portali o facciate di chiese furono decorati con bassorilievi e statue che rappresentavano le stazioni dei mesi. Si andò a plasmare un materiale iconografico molto ricco che attingeva a piene mani da motivi religiosi, agricoli e folcloristici. Da una parte questo materiale venne rielaborato per scopi narrativi, dall’altra per fini allegorici o religiosi dato che i mesi potevano indicare il corso dei lavori nei campi e degli intervalli di riposo dovuti alle stagioni, così come il calendario di celebrazioni liturgiche o come metafora della predicazione e della lotta del buon cristiano.

Nel caso di ciclo di Trento è probabile che la metafora indicata dal committente e interpretata con maestria dall’artista fosse quello del “Buongoverno”.

L’organizzazione narrativa, la distinzione tra classi sociali, evidente, ma non acuta, la descrizione dei processi produttivi legati alla terra e alla loro trasformazione, l’evidente armonia, anche coloristica che traspare tra città e campagna, tra contesti aristocratici e popolari, sembrano voler evocare una certa idea di società ordinata che una parte dell’aristocrazia feudale voleva suggerire, un modello in cui i due mondi coabitano, un cosmo organizzato dove il susseguirsi delle stagioni avviene senza apparenti lacerazioni.

La sala della Torre fu pensata per suggerire una sorta di continuità spazio-temporale, forse per dare l’idea che, pur nella scansione dei mesi, le stagioni e il tempo fluiscono in una sequenza ininterrotta. A separare le scene sono state affrescate delle esili colonne che danno l’impressione di poggiare su un basamento e che compongono un loggiato da cui si può osservare il paesaggio circostante. Le pareti accolgono tre mesi ognuna e danno vita al racconto in senso orario. Degli originali dodici comparti solo quello di marzo è andato perduto poiché realizzato su una parete di legno che copriva una scala, poi dispersa.

Il racconto, a partire da gennaio, affrescato sulla parete est, mostra una continuità quasi cinematografica, ottenuta soprattutto grazie alla presenza costante del paesaggio che, nei colori, nelle forme – colline, montagne, fiumi che proseguono il loro corso da un mese a un altro – si snoda in una sorta di anello eterno e ineluttabile come il passare del tempo e delle stagioni.

Per la prima volta nella storia della pittura occidentale, viene rappresentata la neve. A gennaio infatti si vedono uomini e donne che giocano a palle. Ma è incredibile la quantità di azioni, di gesti quotidiani e lavorativi, di contesti ambientali e urbani che tutto il ciclo riesce a mettere in campo in un procedimento affabulatorio che seduce e stupisce.

Scene di pesca, di caccia, di allevamento, di processi agricoli come la mietitura, la vendemmia, l’aratura, la semina sono descritti con un gusto straordinario del particolare. Alle scene dedicate al lavoro si aggiungono quelle che celebrano la vita cortese: i tornei fra cavalieri, la caccia con il falcone, la caccia all’orso, gli appuntamenti galanti.

E su tutto svetta la qualità pittorica. Lo stile preciso, le pennellate a tratti finissimi, la speciale capacità di cogliere i dettagli sono da una parte di derivazione miniaturista e dall’altra prendono da certi schemi descrittivi tipici degli arazzi. Architetture e dettagli urbani sembrano uscire direttamente da famose  bibbie miniate. Straordinaria è la cura nella rappresentazione di piante, alberi da frutto, attrezzi, mulini, incudini, così come i dettagli dei vestiti che ci restituiscono in un’abbagliante unica superficie affrescata la vita medievale in tutte le sue manifestazioni.

L’apologia di un mondo cortese idilliaco e uniforme, voluta da Giorgio di Lichtenstein per Torre Aquila si opponeva alla realtà dei fatti, visto il poco conciliante governo imposto ai contadini delle valli vicine. Questi si sollevarono e distrussero i castelli dove il potere veniva esercitato. L’egemonia del principe terminò con la rivolta del 1407. A dimostrazione del fatto che la popolazione non andava matta per la sua figura, proprio sull’intonaco degli affreschi di Torre Aquila, realizzati solo qualche anno prima, un anonimo lasciò un graffito che celebrava la scacciata del principe-vescovo.

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  1. Trento. Dal 10 agosto al 6 gennaio: Castello del Buonconsiglio | Smartrippin
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