La piccola Gerusalemme: Pitigliano un borgo disteso sul tufo
Talvolta a farci scoprire un angolo di bellezza o una storia sorprendente sono gli errori, le cartine scorse al contrario, una lettera confusa per un’altra, un sentiero imboccato in una direzione invece che nell’altra, mancare la stazione della metropolitana o la fermata del bus.
Oggi con i mezzi tecnologici che abbiamo a disposizione è più raro che accada e allora, per lasciarci a bocca spalancata, un luogo deve possedere un surplus di fascino, deve avere in sé qualcosa che riagganci il cervello a un angolo dimenticato fin dai tempi dell’infanzia – la meraviglia.
Una epifania simile riesce a farcela vivere Pitigliano, un borgo della Toscana a due passi dal Lazio. A chi vi arriva, dopo curve e scorci afferrati in mezzo alla vegetazione, si propone come una visione, un borgo sdraiato su un pianoro di tufo, dove l’abitato sale in perfetta continuità con l’anima e i colori della pietra, dove l’opera dell’uomo e della natura si compattano come capita di rado.
Il paese ha probabili origini etrusche tanto che nel ventre piuttosto malleabile del tufo sono state trovate le tipiche vie cave, passaggi sotterranei che permettevano di fuggire in caso di attacco e che costituivano una rete viaria che univa più insediamenti.
A Pitigliano al genio etrusco si aggiunsero poi le arcigne meraviglie medievali, evidenti dal reticolo di vie e vicoli che si inoltrano nell’abitato.
Il Rinascimento è il periodo che più ha lasciato il segno. Palazzo Orsini, che rappresenta il maggiore edificio cittadino, riporta alcuni dei canoni architettonici più celebri: gli stemmi, le porte bugnate, la piazzetta con colonnato.
Straordinario è anche l’Acquedotto Mediceo che domina, con i suoi archi leggeri, il fronte meridionale del borgo. La struttura fu conclusa nel 1649 e rappresenta un’opera di ingegneria idraulica davvero mirabile.
A rendere Pitigliano un luogo ancora più speciale è il ghetto. Gli ebrei iniziarono a rifugiarvisi a partire XVI secolo, quando prese il via le persecuzione voluta da Papa Sisto V. La presenza di una comunità così numerosa fu ben accettata dalla popolazione locale che non impose restrizioni. La cosiddetta “Piccola Gerusalemme” rivela ancora oggi, soprattutto dopo alcuni lavori di recupero, gli edifici centrali della vita comunitaria. La Sinagoga, con l’Arca Santa sul fondo e il pulpito al centro, il matroneo, i lampadari e le decorazioni dipinte, rivela, grazie a una scritta, l’anno di fondazione – il 1598.
Sotto al sinagoga, scavati nel tufo, si trovano la cantina kasher, il bagno rituale, la macelleria e il forno degli azzimi.
A testimonianza della combinazione proficua tra le usanze locali e quelle importate dalla tradizione israelitica c’è anche la cucina. Il piatto tipico è detto lo “sfratto”, nome derivato dal breve periodo in cui gli ebrei furono cacciati da Pitigliano su ordinanza di Cosimo II De Medici.
Si tratta di un dolce a forma di lungo bastone. È preparato stendendo una sottile pasta non lievitata a cui viene aggiunta una farcitura di miele, noci e scorza d’arancia. Arrotolato e spennellato d’olio viene cotto al forno e servito in fette sottili. La forma a bastone deriva proprio da quelli “veri” con cui gli ebrei vennero scacciati agli inizi del Seicento.
Inutile aggiungere che da qualunque punto ci si affacci, sia nord o sud, dal pianoro si possono godere paesaggi mozzafiato sulle alture circostanti. Notevole soprattutto lo scorcio settentrionale che dà sulla valle del Meleta.