Milano. “Pollock e gli irascibili” dà il via all’Autunno Americano
Irascibile, colui che si lascia vincere dall’ira. Secondo Platone, la parte dell’anima che è principio di coraggio, di impeto, di collera. Forse la seconda accezione dell’aggettivo è quella che meglio identifica il gruppo di artisti di cui fa parte Jackson Pollock.
Siamo negli anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, a New York. Energia è la parola chiave della Grande Mela e del periodo, la stessa parola che anima la mano e il braccio di Pollock quando inizia a dipingere. Non segue di certo la tradizione, né un progetto o un’idea studiata a tavolino. L’artista statunitense si fa guidare dall’istinto, dall’impulso di voler creare qualcosa, senza badare al tempo o a dei canoni e men che meno a delle regole fisse: dipinge e basta, fino a quando il suo istinto lo porterà a fermarsi perché soddisfatto. Fra gli input che dichiara di seguire c’è la musica jazz, che dice lo stimola e far nascere la pittura e guida i suoi gesti. Come il jazz la natura del gesto di Pollock nasce dall’improvvisazione, dall’ispirazione del momento.
Dripping è un modo di dipingere che Pollock s’inventa e che prende il nome da “drip” che, in inglese, significa “gocciolare”. Infatti i suoi colori, spesso smalti industriali, vengono fatti cadere liberi, a volte da un pennello, a volte da un bastone, a volte dallo stesso contenitore e gocciolano sulla tela costruendo una trama sorprendente e dinamica. Quindi la tela emigra dal cavalletto e trova una nuova collocazione – il pavimento.
L’obiettivo di Pollock non è riprodurre qualcosa di fisico, un paesaggio, un ritratto, una natura morta, ma rappresentare l’atto stesso del dipingere. Pensarlo è più difficile che attuarlo, per questo l’artista dà libero sfogo al suo pensiero attraverso la pittura e l’azione ad essa legata, dando vita a quella tecnica che verrà chiamata action painting.
La sua vita travagliata si riflette nei dipinti e quando nel ’51 ricade in una profonda spirale di depressione e alcol, i colori dei suoi lavori si incupiscono e pian piano si spengono, come succede a lui nel 1956, dopo un violento incidente in auto per guida in stato di ebbrezza.
Altri artisti sentono il bisogno di esprimere l’atto del dipingere, ognuno con un suo modus operandi, diverso rispetto al dripping di Pollock.
Mark Rothko, ad esempio, realizza tele interamente coperte da colori intensi come il blu, il rosso, il verde, l’arancione, Willem De Kooning dipinge figure oniriche dai contorni confusi e con un conseguente cambio di valore del soggetto rappresentato, Franz Kline entra nell’action painting con violente pennellate in bianco e nero di diversa intensità, per passare successivamente al colore.
Il gruppo degli irascibili è più vasto, conta 18 artisti che nel 1950 protestarono contro la loro esclusione da una mostra al Metropolitan Museum of Art, forse perché la loro azione rivoluzionaria non era stata compresa. Oggi i capolavori di alcuni del gruppo sono esposti a Milano a Palazzo Reale nella mostra denominata “Pollock e gli irascibili”, a cura di Carter E. Foster e Luca Beatrice, aperta sino al 16 febbraio.
Protagonista dell’esposizione è di sicuro il celebre Number 27 di Pollock, un’opera che è stata prestata dal Whitney Museum di New York in via del tutto eccezionale, date le dimensioni della tela che la rendono difficile da trasportare.
Questa esposizione è la prima della serie appartenente all’evento denominato “Autunno Americano” che darà la possibilità a Milano di ospitare l’arte, la musica, la fotografia e la cultura proveniente dal Nuovo Continente.
Un’occasione unica per scoprire l’energia degli artisti che si sono ribellati alle regole dell’arte, per l’arte.