Futurismo: inseguendo il vortice della modernità
Strade intasate dalle auto, persone che camminano svelte, cantieri edili nelle piazze e nelle vie, ciminiere che sputano fumo, treni e tram che tagliano la città a fette, sferragliando, e poi le carlinghe degli aerei che sorvolano il cielo con il loro linee lucenti. Al calare della sera le luci artificiali si accendono di giallo pallido e rendono possibile vivere la notte e tutto ciò che si porta con sé, il senso del proibito – l’alcol, il sesso a pagamento, ma anche il cabaret, il cinema, il teatro.
Siamo agli inizi del XX secolo – il mondo cambia velocità. Vita, lavoro, tempo libero acquisiscono nuovi ritmi, il vortice del movimento assimila tutto, sferza, colpisce con le leggi del dinamismo, dell’energia.
Sono gli anni in cui si discute di inconscio e interpretazione dei sogni, in cui i raggi X permettono di guardare là dove non si era mai potuto farlo. Le scoperte scientifiche stravolgono il modo con cui l’uomo ha osservato l’universo fino a quel momento: ecco nascere il concetto di atomo e poi la teoria della relatività che rompe la nozione di spazio e tempo come entità separate.
Gli artisti, spesso i primi a percepire i cambiamenti, si interrogano e cercano di esprimere tramite le loro opere questo nuovo scenario.
A Parigi, epicentro della modernità, verso la fine dell’Ottocento, Georges Seurat propone un approccio più scientifico e ordinato alla pittura. Dipinge senza sovrapporre i colori, ma tramite minuscole pennellate, simili a puntini, li accosta, lavorando sui contrasti cromatici e creando una trama pittorica dai sorprendenti effetti luministici e, di fatto, inventando il puntinismo. Nel 1907 Picasso sconvolge il già febbricitante cosmo artistico parigino presentando Le demoiselle d’Avignon. L’opera dà vita al cubismo inserendo in pittura una visione dello spazio-tempo che permette di mettere sulla tela non ciò che si vede dell’oggetto, ma ciò che si sa dell’oggetto. Il reale si dissolve e si ripresenta frantumato, geometrizzato, concettualizzato. Viene a dileguarsi il rapporto fra primo piano e sfondo, fra figura e spazio, anzi lo spazio diventa un’emanazione ritmica di elementi compositivi.
Poi, il 20 febbraio 1909, sulla colonna di sinistra del quotidiano francese Le Figarò appare in grassetto una parola sconosciuta: Futurisme. Una pagina a firma Filippo Tommaso Marinetti, un artista italiano, presenta al mondo “Il Manifesto del Futurismo”. È una novità assoluta, mai un gruppo artistico si è affidato a un giornale per indicare la proprie intenzioni. Marinetti si dimostra abilissimo conoscitore del mondo, utilizza i mass-media in modo brillante e con una prosa corrosiva, sferzante, battagliera, eleva “Il Manifesto” a letteratura.
“Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino a oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità.”
L’intenzione dei futuristi è rendere in arte il dinamismo e le sensazioni determinate dal mondo in movimento. Vogliono proporre una visione simultanea: da una parte la percezione sensoriale di ciò che si osserva, dall’altra la memoria che si ha dell’oggetto. Come conseguenza la visione si fa oggettiva e soggettiva allo stesso tempo. I loro quadri sono la somma di elementi fisici, sensoriali ed emozionali.
Il risultato è la disgregazione delle leggi di rappresentazione e la metamorfosi della posizione dell’osservatore, che non può più rimanere passivo, ma deve partecipare, ricostruire ciò che le immagini, equivalenti astratti del reale, segni di pura energia, cercano di mostrare: la concomitanza di azioni, rumori e voci nella realtà, la presenza dinamica del mondo, il suo essere non più scenografia, ma vertiginoso sistema in continuo divenire.
Ciò che i futuristi fissano sulla tela non sono più la natura e le forme umane, ma le vibrazioni e il moto che da esse emanano.
L’ambizione dei futuristi però non si ferma all’arte. Vogliono intervenire anche sulla realtà urbana, ambientale, privata, persino domestica. Casa Balla, ad esempio, diviene il prototipo di ambiente futurista, con oggetti e tessuti dai colori e dalle forme prese direttamente dalla poetica artistica.
Il mito della velocità si rivela sia nel modo in cui i Futuristi interpretano la pittura, ma anche per i temi che trattano. Automobili, motociclette, motoscafi diventano protagonisti e modelli di riferimento. Più avanti è l’aereo ad affascinarli. La documentazione del dinamismo del volo è realizzata tramite la visione dall’alto, come se lo spettatore fosse partecipe delle evoluzioni acrobatiche di un biplano.
Pur andando smorzandosi nella sua forza innovativa, pur nei continui mutamenti interni, il futurismo fu una delle avanguardie che maggiormente influenzarono il corso dell’arte novecentesca. L’onda ispiratrice fu lunga potente e continua ad esserlo anche oggi. Negli ultimi anni si infatti si è venuto a creare in Italia un filone chiamato “Secondo futurismo” che coltiva, aggiornandole, le qualità e le idee della corrente primigenia.