Teatro all’Antica di Sabbioneta, il primo spazio teatrale stabile di epoca moderna
Il concetto di città ideale fiorì già nell’antichità, ma è con il Rinascimento che divenne centro di un dibattitto che la voleva luogo nevralgico dell’agire umano e che diede vita a una serie di proposte, alcune utopiche, concettualizzate in famosi quadri come quello conservato presso la Galleria Nazionale delle Marche, di Urbino, altre più compiute e reali, tra cui Sabbioneta, piccolo centro non distante da Mantova.
La città, di origine romana, fu trasformata dal progetto di Vespasiano Gonzaga che, a partire dal 1554 fino al 1591, anno della morte, la dotò di una cerchia di mura a pianta poligonale, con due sole porte. All’interno dei bastioni, lungo la pianta regolare di vie e piazze, fece costruire una serie di palazzi, abbelliti da elaborati cicli di affreschi, e monumenti con statue e sculture antiche, che resero il piccolo centro un esempio urbanistico di stampo classico, romano soprattutto.
Tra gli edifici che meglio rappresentano questa stagione, durata poco più di trent’anni e capace di emanare un’aura unica, c’è il Teatro all’Antica. Luogo simbolico se ce n’è uno, fortemente voluto da Vespasiano, incarna la forza del signore e l’apoteosi del suo potere. Per una delle numerose bizzarrie della storia dell’arte appare come un edificio veneto innalzato fuori dai confini naturali. Il motivo è presto detto. Vespasiano nel 1587 conobbe, a Venezia, durante una visita ufficiale, Vincenzo Scamozzi, architetto che aveva portato a termine il Teatro Olimpico di Vicenza dopo la morte di Andrea Palladio.
A lui Vespasiano volle affidare il progetto di un teatro fisso. Un’idea coraggiosa e nuova, in un periodo in cui le rappresentazioni si svolgevano per le vie, nelle piazze o davanti ai sagrati delle chiese. Il progetto fu presentato nel giugno del 1588 e ci vollero circa due anni per portare a termine la costruzione. Una volta finito si rivelò il primo teatro stabile europeo moderno, ovvero non costruito su un precedente edificio con la medesima funzione.
Il duca riuscì goderselo però solo per pochi mesi, dato che morì nel 1591.
All’esterno l’edificio si presenta semplice e armonico. A scandire il primo piano dal secondo fu inserito un marcapiano che reca la scritta in latino – Roma quanta fuit ipsa ruina docet (le stesse rovine insegnano quanto grande fu Roma) – rivelatoria della fonte ispiratrice del progetto. Nella zona sottostante le finestre sono contornate da conci in bugnato liscio, mentre la parte superiore offre stilemi di chiara derivazione classica con frontoni e nicchie che un tempo ospitavano delle statue.
All’interno il teatro evoca un’aria sorprendentemente vivace, che richiama sì i fasti del passato, ma che non li tiene sotto una campana di vetro, ma li fa respirare come fossero ancora presenti in una sorta di continuum temporale.
La struttura è classica e presenta la cavea semicircolare, l’orchestra e il palco, ma al medesimo tempo propone delle novità come il foyer d’ingresso e i camerini per gli artisti.
La sala ha un palco sopraelevato, alle cui spalle si trovava la scena fissa progettata da Scamozzi, distrutta nella seconda metà del Settecento. Si è riusciti a ricavare ciò che aveva previsto l’architetto: una prospettiva urbana con una via costeggiata da case ed edifici borghesi.
Il palco originario, si univa al soffitto, oggi formato da travature in legno, tramite un velario. Il tetto costitutiva una scenografia esemplare. Era stato pensato come una carena rovesciata e cui si aggiungeva una controsoffittatura a botte realizzata con canne di fiume intrecciate, stuccata e dipinta d’azzurro, in modo da dare l’impressione di trovasri sotto un cielo reale.
Come abbiamo già detto prima, il teatro ha un impianto veneto e venete erano molte delle maestranze che lavorarono alle decorazioni murali. Gli affreschi sono opera di pittori della bottega di Paolo Veronese. Gli affreschi con i personaggi che occupano la parte superiore della sala sembrano presi direttamente da una villa veneta.
Di grande effetto scenico è il loggiato con trabeazione su cui si ergono dodici statue delle divinità olimpiche. Tra le colonne, sul muro, sono stati raffigurati alcuni imperatori romani. Al centro si trova Vespasiano, non ha caso, posto in corrispondenza del luogo in cui si sedeva il duca.
Il legami con le origini romane sono sottolineati anche da due scorci urbani, uno che mostra piazza del Campidoglio e a l’altro Castel Sant’Angelo.
Curiosa la celebrazione del medico personale di Vespasiano ritratto nella sua bottega e famoso per avere trapanato il cranio del duca che soffriva di forti emicranie. L’uomo si salvò nonostante il trattamento clinico non proprio ortodosso.
Vespasiano, come detto, non fece in tempo a godersi il teatro e dopo la sua morte, la città ebbe una costante decadenza. Il teatro fu usato come caserma e magazzino, fu inondato dai fiumi vicini e negli anni 50 del Novecento divenne anche un cinema. Solo a partire dagli anni 80 ci si è interessati a riportarlo al fascino originario, fascino che continua a riversare su chiunque varchi la soglia aperta nel febbraio del 1590.
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