Liberty a Milano: sulle tracce di mondi architettonici fluttuanti
Chi a Milano avesse a disposizione un po’ di tempo per una passeggiata, o forse, più semplicemente, anche se preso da troppi impegni, azzardasse ad alzare gli occhi verso l’alto o a imboccare certe vie meno battute, potrebbe trovarsi di fronte a scorci sorprendenti in cui a catturare l’occhio sarebbero alcuni edifici liberty tra i più emblematici d’Italia. Le altre città in cui questo stile offre altrettanti capolavori sono Palermo e Torino.
I segnali più evidenti da tenere in considerazione per riconoscerli potrebbero essere: balconi in ferro battuto con volute floreali, cancellate dai disegni vegetali, facciate con maioliche colorate, statue in pietra affioranti dai muri, vetrate con decorazioni zoomorfe. Pur dando l’idea di avere un’anima instabile e incorporea tutti questi elementi sono in realtà imbrigliati nella compattezza di materiali di stampo industriale – il ferro, il cemento, il vetro.
Il liberty prende un nome diverso a seconda della nazione in cui vi troviate. In Francia lo chiamano Art Noveau, in Germania Jugendstil, in Gran Bretagna Modern Style. Numerose sono le influenze che stanno alla base della sua anima composita. Le grandi esposizioni universali, nate a Londra nel 1851 e poi ospitate nelle principali capitali europee, contribuirono a far conoscere l’arte, la grafica, le stampe e il modo di concepire la decorazione del Giappone, tutte influenze che andarono a costituire le fondamenta del liberty.
Alle ascendenze orientali si aggiunse la voglia, scaturita verso la fine del XIX, di unire arte e artigianato, di far crollare le barriere tra moda, cartellonistica, oggetti d’arredo, tessuti, suppellettili e di rendere la natura modello di riferimento e universo da cui attingere forme originarie. Tutti questi pezzi andarono a formare il puzzle compiuto anche se ramificato del liberty, ovvero uno stile a metà tra fiaba e reale, tra natura e artificio, tra leggerezza della visione e solidità dei materiali. Una tendenza che mirava a portare la bellezza nella vita di tutti i giorni, alla portata di tutti.
In architettura gli esempi nati in Belgio, Olanda e Austria furono adottati anche a Milano. Qui a spingere sull’acceleratore del cambiamento fu la borghesia imprenditoriale che, con lo scopo di affermarsi a livello sociale, si mosse per imporre nuovi e più arditi modelli residenziali.
In Corso Venezia, al numero 47, si trova Palazzo Castiglioni, opera di Giuseppe Sommaruga, considerato l’antesignano delle dimore liberty milanesi. L’imponenza del palazzo lo rende un unicum, dato che di solito i palazzi di questo stile hanno proporzioni più ridotte.
La facciata è caratterizzata da elaborate decorazioni sopra e sotto le finestre e in corrispondenza dell’ingresso principale. Sopra l’entrata, nel 1903, quando i ponteggi furono levati, spiccavano due sculture di donna voltate che mostravano spalle e natiche. A Milano non si parlava d’altro che della “ca’ di Ciapp”. Fu così che Ermenegildo Castiglioni, per evitare ulteriori critiche, decise di farle togliere. Oggi sono state recuperate e decorano una casa di cura privata.
Nei pressi di Porta Venezia, precisamente in via Malpighi, si trova un altro esempio eccezionale di liberty. Si tratta di Casa Galimberti, progettata dall’architetto Giovanni Battista Bossi e terminata nel 1905.
L’edificio fa da angolo all’imboccatura di due vie e si caratterizza per un utilizzo estensivo di decorazioni in ceramica. I disegni furono preparati dallo stesso architetto e coprono una superficie di circa 170 metri quadri. Sono caratterizzati da una ornamento festoso, che mescola girali di vegetazione e figure antropomorfe, e che ben si innesta sulle ringhiere dei balconi in ferro battuto. L’insieme rappresenta uno dei migliori brani, se non il migliore, di liberty a Milano.
Non lontana si trova Casa Guazzoni, anch’essa progettata da Giovanni Battista Bossi. Qui le decorazioni della facciata non prevedono l’uso delle maioliche, ma un uso più massivo del cemento cui si combinano pregevoli esempi di decorazioni in ferro battuto. Sorprendente la cancellata d’ingresso, attribuita ad Alessandro Mazzucotelli, che propone girali e infiorescenze lavorate con maestria nel ferro. Delle stessa mirabile eleganza sono le ringhiere delle scale interne che al rigore esagonale della salita contrappongono virtuosismi di ispirazione arborea.
Nel 1906 Milano ospitò l’esposizione universale. A quel periodo risale la massima fioritura meneghina del liberty. Sembrerà strano, ma dei tanti edifici cresciuti in quell’occasione l’unico che si è salvato è quello che oggi ospita l’acquario civico. Fu progettato da Sebastiano Locati e si trova nella zona dell’Arena Civica, vicino a Parco Sempione. L’edifico a forma ellittica, negli esterni mantiene gli ornamenti originali con tondi a rilievo di crostacei, aragoste, tartarughe e fasce in maiolica con disegni di pesci e flora acquatica.
Altri sono i palazzi cittadini che meritano una menzione. Le case di Alfredo Campanini in corso Monforte 32 e in via Bellini 11 e la casa Ferrario di Ernesto Pirovano in via Spadari.
L’edificio che porta nell’appellativo stesso il DNA dello stile di cui stiamo parlando è la Palazzina Liberty, collocata al centro dei giardini di Largo Marinai d’Italia. Un tempo era il cuore del mercato ortofrutticolo. È caratterizzata da ampie vetrate che corrono lungo il perimetro e che la fanno somigliare a certe serre di origine anglosassone e da motivi ornamentali con piastrelle in ceramica. Dopo anni di abbandono oggi è diventata uno spazio culturale.
Se vi trovate a Milano o in altre città italiane, piccole o grandi che siano, vale sempre la pena tenere gli occhi aperti e un atteggiamento vigile. L’Italia è sempre pronta a sorprendere con capolavori che non vi aspettereste di trovare lì dietro l’angolo, a portata di mano.